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mercoledì 27 settembre 2017

La facilitazione delle riunioni: che cos'è e perché serve al mio gruppo

di Lucilla Borio

Il momento della riunione dovrebbe idealmente rappresentare per un gruppo, una cooperativa o una qualsiasi altra forma associativa un gran bel momento di incontro ed elaborazione collettiva di idee e progetti comuni. Attraverso l’elaborazione e grazie all’intelligenza collettiva, le idee si trasformano in azioni mirate al raggiungimento degli obiettivi comuni. In un contesto laico, la riunione può assumere la funzione di un rituale che rinsalda i legami personali ed il senso di appartenenza al contesto scelto, esercitando in modo evoluto la funzione “politica” del gruppo nell’operare scelte strategiche e dare il via a progetti ed attività pratiche condivise. Insomma, un momento vivificante ed entusiasmante, in cui incontrarsi tra “compagni di viaggio” e decidere insieme cosa fare, un momento da accogliere con grande gioia ed alte aspettative... ma è davvero così ?
Nella realtà, la notizia di essere convocati ad una riunione provoca spesso nei partecipanti sensazioni non proprio gradevoli, che vanno da un lieve fastidio ad una vera e propria ansia, unita ad un senso di disagio nell’immaginare la situazione che si troveranno a vivere: un incontro disfunzionale, caotico, spesso inutile e frustrante.

E voi che esperienza avete? Provate a vedere se il test vi ricorda qualcosa di familiare!

Test rapido per capire se al tuo gruppo serve la facilitazione
o Le riunioni spesso iniziano e terminano in ritardo rispetto all’ora di convocazione
o L’Ordine del Giorno non viene comunicato prima della riunione, e durante la riunione non è visibile
o E’ difficile contribuire all’Ordine del Giorno con proposte e idee personali
o Ad ogni argomento non viene assegnato un tempo specifico
o In riunione ci sono alcune persone che parlano molto e altre che non parlano affatto
o Ci sono prevaricazioni e spesso non viene rispettato il turno di parola
o Perdiamo molto tempo con argomenti fuori tema e giriamo “a vuoto”
o Non prendiamo appunti su una lavagna a fogli o in altro modo visibile a tutti
o Le decisioni non vengono prese in modo chiaro e condiviso
o Il contenuto stesso delle decisioni non è chiaro e condiviso da tutti i membri del gruppo
o Molte decisioni prese in riunione non vengono messe in pratica
o Non è chiaro dove vengono custoditi i verbali delle riunioni e che uso ne viene fatto
o La riunioni sono faticose, noiose e non si fanno pause
o Si sta sempre seduti e non si usano tecniche di partecipazione attiva
o Al termine della riunione non facciamo nessuna valutazione del lavoro svolto
o Il clima relazionale del gruppo è problematico
o Ci sono persone stressate dai troppi incarichi ed altre piuttosto passive
o Non riusciamo a realizzare le finalità dello statuto o della carta di intenti
o Siamo in una situazione di conflitto che ci tiene bloccati
o Poche persone partecipano alle riunioni del gruppo, alcuni abbandonano la riunione prima del termine
o Stiamo perdendo membri e non capiamo perché


Se vi identificate in almeno la metà di queste frasi, è chiaro che il vostro gruppo ha bisogno di facilitazione! Ma cosa significa questa parola, ancora (ahimè) poco conosciuta nella cultura italiana?
Facilitare significa organizzare le riunioni in modo razionale, efficiente e partecipativo, per dar modo a tutti i membri del gruppo di contribuire al processo decisionale con la propria creatività e responsabilità.
Il fine della facilitazione è il bilanciamento dei tre vertici del triangolo del Processo di gruppo che evidenzia gli aspetti fondamentali della collaborazione: risultato (cosa facciamo insieme, gli obiettivi), processo (come lavoriamo insieme, la modalità), relazione (come stiamo tra di noi, le persone).
Il facilitatore è la guida imparziale del processo di gruppo, rispetta e cura la relazione tra le persone e si impegna affinché il gruppo prenda le migliori decisioni possibili per realizzare i propri obiettivi. Volete saperne di più? Allora ... al prossimo numero!

Lucilla Borio, Ecovillaggio Torri Superiore
CLIPS – Community Learning Incubator Programme for Sustainability
Coordinatrice per l’Italia di IIFAC - International Institute for Facilitation and Change

Vivere e collaborare in modo sostenibile

di Lucilla Borio

L’essere umano è un animale per sua natura sociale, che si è evoluto grazie alle caratteristiche specifiche legate alla capacità di comunicare con i propri simili per elaborare strategie vincenti a fronte di situazioni di inferiorità fisica rispetto alla potenza degli ecosistemi e all’aggressività dei predatori.
Insomma, non avendo zanne ed artigli ha imparato a cacciare in gruppo per riuscire a sopravvivere. Per comunicare meglio, ha creato l’uso della parola detta, scritta, trasmessa e codificata. Anche oggi, nell’era del digitale e della comunicazione virtuale, sentiamo il bisogno di unirci a persone che sentiamo simili a noi nei desideri e negli interessi, e creiamo nel nostro prezioso tempo libero un gran numero di associazioni, comitati, consigli e gruppi con una finalità collettiva esplicita e condivisa. Abbiamo ben capito che l’unione fa la forza, e che collaborando con gli altri possiamo raggiungere risultati che da soli non potremmo.
Ma ahimè, molto spesso la collaborazione si tinge di difficoltà, e il nobile ideale che ci unisce scompare dietro una cortina di attriti personali, tensioni, disagi e conflitti. Nel tentativo di realizzare i nostri sogni, ci ritroviamo in uno scenario da incubo da cui vorremmo scappare a gambe levate. La buona notizia è che si può imparare a gestire le dinamiche sociali attraverso percorsi di conoscenza e formazione su come collaborare in modo costruttivo, rispettoso e pacifico per raggiungere i nostri scopi.

Il triangolo qui a lato mette in evidenza i tre aspetti fondamentali che concorrono a creare una buona dinamica interna: risultato (obiettivo = che cosa?), processo (modalità = come?), persone =relazioni (chi?). Il triangolo deve idealmente essere equilatero (cioè dare pari rilevanza a ciascun aspetto); al baricentro si pone la responsabilità condivisa tra tutti i membri del gruppo per bilanciare le tre forze presenti e distanziare i vertici. Applicare buone pratiche di relazione, processo ed operatività all’interno di qualunque gruppo dà vita ad un modo di essere, di vivere, di lavorare che contribuisce a creare giorno dopo giorno una cultura di pace e collaborazione.



Ecco un breve elenco degli aspetti principali da tenere presenti quando si fa parte di un gruppo e si desidera lavorare insieme agli altri:

1) la gestione dei rapporti personali: l’esperienza quotidiana ci insegna che il conflitto è ineludibile ed è sempre dietro l’angolo. E’ un polo energetico che catalizza e polarizza le energie delle persone e può portare l’intero gruppo alla paralisi ed infine alla disgregazione, passando attraverso grandi disagi e sofferenze personali.

2) il senso di appartenenza: è il filo rosso che lega insieme persone collegate tra loro da ideali e principi, non da vincoli di sangue o rapporti economici. Un’identità collettiva e condivisa crea un territorio comune entro il quale tutti si sentono sicuri e a proprio agio.

3) la cultura della partecipazione e del processo decisionale: imparare a organizzare bene le riunioni e a scegliere consapevolmente il processo decisionale dà forza all'operato collettivo e aumento molto la possibilità che le idee/progetti divengano realtà. Motiva i soci a partecipare volentieri e ad invitare altri amici da coinvolgere.

4) la funzionalità operativa: per realizzare gli obiettivi prefissati, il gruppo si organizza in modo razionale ed efficace per poter funzionare attivamente e raggiungere i risultati concreti che aveva prefissato.

In questo momento di crisi planetaria abbiamo l’urgenza di uscire dai vecchi schemi di competizione e sopraffazione (sia tra esseri umani sia nei confronti del pianeta), e di sostenere una cultura legata all'ascolto, all'inclusione, alla partecipazione e alla valorizzazione dell’intelligenza collettiva, parlando un linguaggio diverso e aprendo strade nuove nelle relazioni personali e collettive. Sarebbe auspicabile che anche la classe politica, molto impegnata a litigare e molto meno a cercare risposte reali ai gravissimi problemi che stiamo vivendo, si risvegli dal “sonno della ragione” in cui è precipitata e si apra ad una trasformazione del proprio modo, assai insostenibile, di lavorare.

Lucilla Borio, Ecovillaggio Torri Superiore
CLIPS – Community Learning Incubator Programme for Sustainability
Coordinatrice per l’Italia di IIFAC - International Institute for Facilitation and Change