giovedì 3 gennaio 2008

e il Costarica (gennaio - febbraio 2003)

costarica

Penso che ogni persona in sé e per sé non sia qualcosa di definito e definitivo.
Piuttosto un pastrocchio su cui la vita getta continuamente e a caso dei colori.
Prendi la libertà.
Ogni uomo viene al mondo in un battito d'ali, un angelo innocente e inconsapevole. Poi i genitori, l'educazione, la scuola, la società, la TV o chissà cosa, piantano paletti di regole, idee, convenzioni, abitudini, che fissano i confini dei recinti dove ci si trova a pascolare. Prendi le mode, le ideologie, le superstizioni, le paure, il consumismo, il denaro, questo ritmo frenetico che ti impedisce di fermarti e riflettere, l'odio per gli omosessuali, le discriminazioni, l'ignoranza, la posizione della donna, le dipendenze, dalla droga, dalla tv, dal cibo, da un pizzico di affetto, dall'opinione degli altri... ciononostante c'è un sacco di gente che si ritiene libera. Ma dove ?
Eppure alcuni di questi recinti sono buoni e necessari (prendi la legge...), altri mutevoli e discutibili (la morale...), altri ancora futili o comodi o ipocriti (la moda…). Allora come scegliere ? Come comprendere la verità ? Come trovare la libertà ? Cos'è la libertà ?

Sta scritto: "Dai frutti si riconosce l'albero". Ma quali sono i frutti concreti e soprattutto visibili dell'albero della vita ?
Decidere qual'è il livello giusto per la nostra libertà non è affatto semplice. Non lo sarebbe in un contesto statico, figurarsi in una realtà fluida e complessa che cambia alla velocità del pensiero. Allora si oscilla alla ricerca dell'equilibrio, della situazione ideale, e il nostro livello di libertà varia, a volte ci si trova con la sensazione ingombrante di fare qualcosa che non vogliamo fare veramente, fino a sentirsi in trappola. Altre volte invece c'è il senso di colpa per aver forse superato i limiti, la paura di essere stati un po' troppo egoisti o un po' troppo superficiali.
Così è per l'uomo in quanto tale. Si guarda allo specchio e dice: "Chi sono ?". Una domanda solo apparentemente banale, alla quale nessuno insegna che risposta dare.
La risposta dello specchio è intraducibile, un guazzabuglio multicolore di emozioni.
Riesci solo a distinguere che c'è una parte della risposta che c'è sempre stata ma con il tempo si fa via via più sottile e un'altra che invece è cambiata, c'è qualcosa che eri che ora non sei più e c'è qualcosa che ora sei che prima non eri.
Forse i sogni ci dicono chi siamo.
E rimango scandalizzato da questa tendenza della comunicazione mediatica a indurre bisogni nelle persone, a fabbricare sogni a buon mercato da vendere alle masse per farle rientrare nel target di mercato, sogni da consumare in fretta.
Quando invece un sogno è veramente tuo, se ti appartiene, è qualcosa di talmente intimo da potersi ritenere sacro. E' qualcosa che parla veramente di te, qualcosa di divino, qualcosa che ha a che fare con la tua venuta al mondo, qualcosa che ti fa sentire vivo in ogni singola cellula del corpo. Per questo credo che si cominci a vivere davvero quando si inizia a credere di poter realizzare veramente i propri sogni. Ed è stato proprio questo pensiero a condurci in Costa Rica.
Sogni di avventura.

Alla fine del liceo io e Petroz dovevamo andare in Canada. Girare un po' e diventare Ranger nei grandi parchi nazionali, sulle Montagne Rocciose, a sorvegliare Yoghi e Bubu. Ma c'era l'università, con tutte le sue aspettative, altri sogni, l'orgoglio e anche paura, una paura indefinita, paura di fare qualcosa di più grande di noi, paura di rovinarci la vita, paura di non farcela, paura di fare una cazzata, paura di perdere chissà che...
Invece negli anni si è sedimentata questa voglia di avventura, tra i banchi dell'università, nei sabato sera noiosi, nelle domeniche passate a studiare, nella fatica di accettare i riti e i ritmi di questa società così inutilmente codificata, nella sequenza interminabile delle giornate inutili e ripetitive, nei rapporti superficiali, nelle risate a buon mercato.
Quando finirono prima per l'uno, poi per l'altro, i giorni dell'università, ci trovammo, ognuno per conto proprio, a dover capire. Il grande progetto era stato, fino a un momento prima, la laurea. Avevamo vissuto negli ultimi anni in funzione di quell'unico obiettivo (oltre a quelli ovvi e generali). E ora ? Cosa voglio fare della mia vita ? Una domanda che avevamo rimandato per tanti anni ci coglieva ancora impreparati, e ci sbatteva in faccia tutta la sua concretezza, e l'esigenza di essere risolta al più presto, senza sotterfugi. In tempi e modi diversi ci assalì un senso di impotenza e di rabbia, dovuti in parte alle frementi aspettative di chi aveva per tanti anni finanziato i nostri studi e anche i bagordi, in parte all'incapacità di rispondere a quella domanda o anche solo di poterla comunicare, come fosse una stupidaggine. Guardavamo con disgusto a una vita da ufficio, aspettando con gli amici e la morosetta il sabato sera, immaginando poi un matrimonio perché a una certa età devi mettere la testa a posto. Insomma, avevamo orrore di una vita regolare e scontata, gonfia delle frivolezze e dei riti della media borghesia. Ma che alternativa c'era ? Che alternativa c'è ? Che cosa c'era nei nostri cuori che potevamo far fruttare per poter sentirci vivi e nello stesso tempo guadagnarci da vivere e sopravvivere ?

Nel tentativo di rispondere a queste domande si è infilato naturalmente tra i pensieri il ricordo, e l'idea, del vecchio progetto del Canada. Un’avventura dall'altra parte del mondo, per soddisfare la nostra sete e valutare, immaginare stili di vita diversi e magari, perché no, trovarne uno che si confacesse alla nostra natura.
Inizialmente il nostro sguardo si era posato sulle terre selvagge e immense dell'Australia, i canguri, le piste in mezzo al deserto, i cercatori d'oro, ma due conti veloci e una mano in tasca ci ha fatto desistere. Siamo allora passati a sognare Kenia e Tanzania, il Serengeti, il Kilimangiaro, ma anche lì le guide si fanno pagare e il fai-da-te è sembrato un pochino pericoloso, perfino per noi.
Così abbiamo puntato sull'America Latina, dove si può vivere e spostarsi con poco, dove il ritmo di vita, la gente, la musica, i colori sono così diversi da noi. Il Costa Rica è uno dei paesi con la maggiore biodiversità (quantità di specie animali e vegetali in un determinato spazio), ricco di riserve protette ed è anche un paese molto tranquillo, uno dei pochissimi paesi al mondo privi di esercito, la Svizzera d’America. Ci è sembrata la scelta naturale.
Tuttavia, finché non ho stretto in mano il biglietto aereo (840 euro), non ho creduto veramente che sarei partito.

Ci si trovava così, pour parler, e sognare di volare dall'altra parte del mondo era facile, una droga leggera. Credo che se avessi aspettato di essere completamente convinto non sarei mai partito. E' così. Tutte le scelte importanti hanno un margine di rischio, portano con sé la paura e il fascino dell'ignoto. L'intelligenza serve, ma non basta, non è possibile intercettare tutte le variabili in gioco. Ci vuole istinto, quell'intuizione non superficiale e non codificata che ti fa sentire che una scelta è giusta anche se non sai spiegare con precisione il perché. Ci vuole convinzione per affrontare un progetto, un'avventura, perché se continui a voltarti indietro rischi di inciampare e la corsa sarà lenta e affannosa. Oserei dire... ci vuole Fede.
Il solo credere in un'idea la rende più reale, credere in una persona la rende meravigliosa... Un granello di senapa di Fede fa miracoli, davvero.
E se si sbaglia ? Bè, qui il discorso si fa complesso e vorrei evitare di alambiccarmi in fumosi esercizi filosofici. Dico solo che raramente una scelta è completamente giusta o completamente sbagliata. E poi quanti elementi alterano la visione: la paura, l'ignoranza, l'orgoglio, la presunzione, il bisogno, la disperazione, la rabbia, il desiderio... hai voglia. Dipende anche dalla cilindrata del cuore. Ci sono 3000 turbo iniezione che rischiano di sbandare ad ogni curva e 500 diesel che non li muovi nemmeno a prenderli a calci nel culo.
Lungo il cammino della vita si commettono errori quasi ad ogni passo e, per quanto mi riguarda, ne sarei seppellito se non Credessi, se non credessi di poter rinascere ogni giorno. Le cicatrici restano, eccome se restano, ma si può imparare a farne tesoro, a fare meno errori, ad affrontarli meglio, spettinandosi soltanto un poco. L'unica scelta veramente sbagliata è quella di non avere il coraggio di scegliere mai.


Ricordo i giorni terribili prima della partenza, un malessere che sembrava scoppiarmi in testa, la voce delle persone che lentamente si traduceva in una cacofonia insopportabile, aggiungici anche un po' d'influenza. Ma, probabilmente, sarei partito, sarei fuggito, anche dentro un polmone d'acciaio.


15 gennaio 2003 h 7.59 (ora di Roma)
Bon. Io e Petroz siamo a bordo dell'Iberia IB3631 in partenza da Venezia destinazione Madrid. Dopo il solito interminabile check-in dove ci hanno incellofanato (gratis) gli zaini, ci ha salutato un'alba beneaugurante. Ci aspetta un viaggio di quasi 18 ore. Speriamo che passino in fretta. Il tagliaunghie ha passato i controlli. Secondo me, un terrorista può fare il cazzo che vuole.

h 12.18 (ora di Roma)
Siamo in partenza da Madrid su posti abbastanza lontani. La prospettiva di affrontare 13 ore e 40 minuti di aereo in queste condizioni non mi esalta particolarmente. Il volo fino a Madrid è andato bene. L'Iberia ci ha offerto una ricca colazione. All'areoporto abbiamo trovato una smandrappata di fighe allucinante, in particolare allo sportello dell'Iberia, ce n'era una che Penelope Cruz gli fa una sega (con rispetto parlando).

h 23.51 (ora di Roma)
Tramonto all'areoporto di Miami. Si comincia a respirare aria di libertà. Per salire su questo cazzo di aereo ho dovuto passare quattro controlli. Devo cambiare la foto sul passaporto. Anche a Madrid un poliziotto mi ha perquisito da cima a fondo, mi ha chiesto spiegazioni perfino sugli appunti di inglese del Petroz. Il pranzo sull'intercontinentale ha stroncato il Boerdin, soprattutto il peperone. Perché cazzo l'ho mangiato ? Così il Boerdin ha dovuto fare i conto con il suo stomaco, ed eroico il nostro è riuscito a non vomitare, anche se con rabbia ha dovuto rinunciare alla cena pagata. Almeno ho inculato le posate. Il tramonto di Miami mi ispira terribilmente. Per la cronaca (e Asto) l'aereo dell'intercontinentale era un B-747. Avrei voluto fare riflessioni sullo stato d'animo della partenza, ma sono stato troppo male. Spero al ritorno di aver avanzato Xamamina. In teoria qui a Miami dovrebbero essere le 18 e a San Josè le 17.

h 21.45 (ora locale); h 4.45 (ora di Roma)
Boerdin e Petroz consumano la loro prima cerveza Imperial al Grand Hotel Imperial, Avenida Central, Stanza 97, 13,33 USD (385 colones for one dollar).


16 gennaio h 06.05 a.m. (ora locale)
Alba a San Josè. E' la zona del mercato ma mi sembra una cosa generale. Già da due-tre ore qua gridano e strombazzano e una discreta quantità di gentaglia arpega su e giù. Ieri sera abbiamo conosciuto Giuliano, un italiano che da tre anni e mezzo sta in centro America (Messico e Nicaragua) e sembra il Gatto e la Volpe messi insieme. Spettacolare il tramonto a Miami ieri, sembrava uno di quegli sfondi infuocati di PowerPoint. Poi quando l'aereo è salito abbiamo visto Miami by night, e sembrava Matrix. Anche San Josè era carino, venature d'oro nell'oscurità. All'areoporto diatriba con i tassisti per risparmiare un po', ma alla fine abbiamo comunque pagato 12 dollari. L'hotel Galilea, indicato sulla guida, non esiste, e il tassista ci ha portato qui. Una vera topaia. Almeno costa poco.

h 07.55 a.m.
Colazione con cameriera carina con le tostadas. Il numero che ci ha dato la Resy è sbagliato e Petroz è convinto l'abbia fatto apposta. Con 225 colones siamo riusciti a chiamare in Italia. Prossima tappa: ufficio turistico.

h 01.37 p.m.
La faccia di bronzo del Petroz sta tentando di farci passare per ricercatori e scroccare un permesso per entrare gratis nei parchi. Intanto abbiamo appuntamento con una tedesca per una birra. Carina, naturalmente.

h 02.07 p.m.
Sono ponato su un tavolino al centro di un laghetto al Parque Nacional. Almeno credo. Petroz è andato a farsi un caffè. Si respira un'atmosfera di grande armonia. Questi parchi sono meravigliosi, piante di tutti i tipi, una grandissima cura nel tenerli. E poi sono tanti. San Josè è una piccola città, molto a misura d'uomo. Non riusciamo a non farci notare, carichi di roba come siamo. Prima dei rompicazzi stavano attaccando briga. Quante ragazze carine. Quanti pesciazzi in questo laghetto.



17 gennaio h 09.09 p.m.
Giornata epica: tra ieri e oggi abbiamo intortato il Ministero dell'Ambiente e con l'aiuto di Jennifer abbiamo parlato con il Ministro e pare proprio che ci concederanno un permesso per visitare i parchi. Ma dobbiamo aspettare fino a lunedì. Jennifer ci ha salutato un po' fredda e ci ha dato appuntamento la settimana prossima ai Caraibi. Nel frattempo abbiamo preso un autobus e siamo finiti a Ciudad Quesada, un paesotto in mezzo a tutto e lontano da tutto. E' stata interessante la tratta in autobus, pieno di gente fino all'inverosimile, con ritmo di 25 km/h. Il Petroz si è innamorato di Jennifer e allora spendiamo su di lei. Petroz dice: profumo naturale, delicato, da bambina che ti mette un sesso allucinante. Il naso non è bellissimo ma ci piace quando lo arriccia. Il sorriso è il top dei top, irregolare ma molto affascinante, un dente inclinato che gli da un che di accattivante. A me piace molto come strabuzza gli occhi. E i capelli molto belli. Non da molta confidenza ma ti accarezza arricciando il naso. E poi è stata bravissima, molto simpatica e alla mano.

h 11.05 p.m.
Stella cadente su Ciudad Quesada (San Carlos)



Il volo aereo è stato assolutamente interminabile, quasi 24 ore di stillicidio, condito per di più dalla mia oltremodo stupida incapacità di rinunciare al risotto ai peperoni proposto dall’Iberia che mi ha incendiato lo stomaco per metà del viaggio, facendomi lottare minuto dopo minuto per non vomitare. Siamo atterrati a San José a sera inoltrata e all’uscita dell’aeroporto stava ad attenderci una folla di tassisti smaniosi di venderci i loro servizi. Tra il buio, la stanchezza, le paure striscianti dell’arrivo in un paese così lontano, questa folla un po’ aggressiva… diciamo che il primo impatto poteva essere migliore. Quanto è più bello un luogo sconosciuto alla luce del sole !
Il tassista poi ci ha portato in una topaia di pensione nella zona del mercato generale, una delle più malfamate, le cui squallide stanze, ricavate probabilmente da usi commerciali, si chiudevano da un lato con una vetrata e una saracinesca metallica (tipo bacheca per i serpenti allo zoo).
San José è una città abbastanza moderna e moderatamente caotica, più piccola di Padova. Ci sono zone centrali pulite, ordinate, armoniose e altre più squallide e malfamate, divise da sinistra a destra da avenidas, e da sopra a sotto da calles.
I primi giorni ci siamo sbattuti avanti e indietro con i nostri zaini ipertrofici, a guardarci un po’ attorno, capire dove eravamo e contemporaneamente ci siamo subito attivati per ottenere i permessi necessari per visitare i parchi. Così abbiamo conosciuto Jennifer, per sbaglio, finendo al Ministero della Cultura dove lei lavorava. Ci ha ascoltato, ha capito il nostro problema, si è fatta in otto per darci una mano, ha accettato subito di uscire a bere qualcosa con noi, ed era una vera forza. Insomma, sembrava una cosa troppo magica perché finisse lì e basta. Eravamo sicuri che l’avremmo rivista e chissà, le mille e una notte, tanto aveva fatto presa sul nostro immaginario. Invece è stata soltanto una stella cadente. Meravigliosa, ma solo un guizzo di luce nel cielo.


18 gennaio h 07.45 a.m.
Dimenticavo la pensione Palma a San Josè, 7$ in due, ma tranquilla e stanotte al Don Goyo a Ciudad, 21$ in due (dopo contrattazione) ma decente. Una biondina carina ci ha portati fino all'albergo e ieri un'altra cameriera mi ha tolto l'appetito. Il cibo fa schifo, non c'è tradizione, è pieno di fast food e mi sa che tornerò dimagrito. Dobbiamo ancora recuperare il fuso. Anche stamattina mi sono svegliato alle 6.30 a.m. Ci siamo resi conto che qui non c'è proprio un cazzo da fare, allora andiamo all'Arenal. Un tipo dell'informazione ci ha intrattenuti un paio d'ore ieri sul vulcano. Non so, non m'ispira incredibilmente. C'è la luna piena e (forse per quello) non un grandissimo numero di stelle. Ho riconosciuto Orione e forse il Piccolo Carro. Il Petroz per certe cose è un bestia ma a volte si perde in un bicchier d'acqua. E' un po' troppo impulsivo. O istintivo.

Costarica - Vulcano Arenal

19 gennaio h 07.45 p.m
Hotel Principe, Avenida 6, San Josè (15$). Siamo partiti ieri per un paesino che si chiama Fortuna, ai piedi dell'Arenal. Ci siamo sbattuti nelle Cabinas Jerry, un buco con vista sul vulcano e Heremias ci ha venduto un tour all'Arenal (20$ a testa). Abbiamo trottolato tutto il pomeriggio inutilmente intorno al vulcano, poi siamo andati alle paradisiache piscine termali. Qui abbiamo conosciuto bene un paio di americani del nostro tour, Sean di Washington D.C. che studia Biochimica a San Diego e Pamela di Boston, appena laureata. Simpatici tutti e due, si fanno rispettivamente due mesi e cinque settimane, hai capito 'sti americani. Infine giro notturno al vulcano, con qualche vaga visione di lava e rumori di sbuffi e caduta di pietre. Suggestivo, la luna piena tra i rami della foresta, il vulcano. Poi saluti e pizza a Fortuna. E' una zona che sa molto di Africa, con le banane, le palme, i colibrì. Oggi pioveva, era tutto molto più brutto. Così ci siamo sciroppati 5 ore di bus per tornare a San Josè. Domani dovrebbero darci il permesso e dovremmo partire a mezzogiorno per il Corcovado. Lì dovrebbe cominciare l'avventura vera e propria. Fantasmagorici i viaggi in questi bus strapieni di gente, e che gente, fighe, bambini, occhi che parlano.

h 23.20
Avevo sottovalutato le peculiarità dell'Hotel Principe. Intanto abbiamo uno spifferino magico da 10 x 50 cm. Nella stanza accanto trombano urlando e la traversa è la zona a luci rosse. Si preannuncia una notte tranquilla. Per fortuna sto morendo di sonno.



Per ottenere il permesso dovevamo attendere qualche giorno, fare professione di pazienza, e allora abbiamo deciso di spendere qualche giorno alla deriva, preso un autobus verso una destinazione qualunque e via. Siamo finiti in una località abbastanza insignificante, Ciudad Quesada (credo che Quesada significhi “formaggio”), e poi da lì siamo risaliti verso il vulcano Arenal.
Alle pendici del vulcano l’industria del turismo ha fatto nascere il paese di Fortuna, una manciata di baracche in uno scenario che sa molto di Africa. Qui un ragazzino di tredici, quattordici anni ci ha trovato un posto dove alloggiare e ci ha venduto un tour del vulcano, dopo la solita contrattazione feroce del Petroz. Lì per lì mi sono sentito un po’ deluso, ma forse era lo squallore del paese ad ammosciarmi. A ripensarci, e vedendo le foto, si è invece trattato di qualcosa di notevole, il vulcano, la laguna, le piscine termali, gli americani. Il viaggio in autobus è stato faticoso ma piacevole, un’autentica botta di vita, di impressioni, sensazioni. Il ritorno a San José è stato celebrato in quella specie di bordello dell’Hotel Principe. Il giorno seguente, dopo molte insistenze siamo riusciti a strappare il permesso ed è stato davvero una cosa mitica. Poi abbiamo salutato Jennifer senza sapere che quella sarebbe stata l’ultima volta e siamo partiti per l’Avventura vera e propria.

Il permesso

21 gennaio h 7.42 a.m.
Palme, mare, pace, caldo tropicale. E' la cabina #8 Brisas sul mar, a Puerto Jimenez, Penisola di Osa, uno dei posti più sperduti del mondo, la "frontiera". L'altra notte il vicino di casa ha trombato quattro volte, e non poteva mancare questa chicca in un viaggio in centro America dormendo in pensioni di second'ordine. Per non parlare degli autobus, della gente che strombazza il clacson a tutte le ore. Non è che sto dormendo molto, ma sono troppo eccitato, troppo desideroso di vedere questi posti. La mattina, dopo una meritata colazione abbondante con pinto con huego (riso e fagioli con l'uovo sbattuto sopra, il cibo qui è veramente down, non riesco a mangiare, stavo morendo di fame. Per fortuna prendo le vitamine) siamo andati al Ministero e grazie all'intervento del gentilissimo Sergio Leon ci hanno rilasciato il permesso in triplice copia. Corsa a casa, sistemazione della macchina fotografica inceppata all'Arenal, acquisto inutile della pila nuova (7,5$), spesa 25$ e corsa alla stazione dei bus, tra tipi loschi e tassisti idioti. Viaggio di 9h e 15 minuti fino a qui, per strade sempre più imboscate e sperdute, abitazioni che diventano baracche, Costa Rica che diventa più genuino e Coca-Cola che impone il suo marchio in ogni dove, perfino negli angoli più sperduti. Abbiamo preso queste cabine sul mare, che in questo punto preciso è una laguna, e cena discreta dai cinesi qui accanto, con Petroz che si è fatto spaghetti alla carbonara. Decenti, pare. La gente qui mi sembra più sorridente e più simpatica. I cinesi, se ho capito giusto, c'è il ragazzo che veniva qui a studiare e si è portato dietro la famiglia. In bus abbiamo trovato un italiano e la madre che vengono qui da 7 anni, perché è un posto tranquillo. Mah... Da Milano? Dalla Cina? Intanto sono qui ponato ad aspettare che il Petroz si alzi, cullato da una eccezionale brezzolina con vista eccezionale e il canto di non so che uccelli, pappagalli mi pare e altri, e gechi dappertutto. Siamo alla soglia della foresta pluviale con la sua bellezza e i suoi pericoli. Riflettevo ieri, prendendo spunto da Tiziano Sclavi in un suo albo, che possono esserci tanti paradisi e tanti inferni, e forse siamo in un posto dove la differenza tra i due è sottile.

h 12.30 a.m.
Caldo becco. Il sole dei tropici non scherza. Sto sudando come una fontana. Come prevedibile, il permesso non ci ha aperto tutte le porte del paradiso. Abbiamo scaricato un po' di roba a Carlos Polanko, all'ufficio del parco qui a Puerto Jimenez e tra un'ora partiamo per Carate, 45km e poi a piedi fino a Leona, 3,5km, finalmente dentro il Corcovado. Speriamo entro il tramonto.


22 gennaio h 2.40 p.m.
Stazione di La Leona, Parco del Corcovado, tra l'Oceano Pacifico e la foresta pluviale. Eccezionale. Sembra di vedere una di quelle cartoline dei tropici, invece ci siamo davvero. Sento che potrei stare qui una settimana senza stancarmi. Petroz come al solito è riuscito a scroccare una cabina dove dormire. Così anche oggi senza tenda. Ieri abbiamo fatto la strada in autocarro dietro, come i militari, per uno sterrato con vari guadi e uno spettacolo intorno. Qui la gente è piuttosto cordiale. Ieri siamo riusciti a scroccare anche un po' di cena, da bere, e giocato a carte con la responsabile qua, Ana, e un po' di amici suoi che la sera vengono a trovarla. Mi hanno anche scassato la pila nel tentativo di aggiustarla. Chissenefrega. Finché non servirà. Stamattina abbiamo risalito un rio per un bel pezzo, abbiamo visto l'Amorfo Blu, gli Ara Macao, i Pellicani, qualche Scimmia e animaletti vari. Pranzo, bagnetto e conosciuto una figa imperiale, Carolina, alta, mora, due occhi blu che brillavano e un sorriso come il paradiso. Il pericolo grosso qui è la disidratazione, perché si suda parecchio e non si sa se l'acqua è buona. Ma l'abbiamo quasi finita per cui proveremo. Domani ci aspettano 16km di passeggiata fino alla stazione di Sirena, al centro del parco, dove ci sono ricercatori e, come direbbe il Petroz, via dicendo. Due volontari tedeschi stanno qui a girarsi i pollici. Lui si lamenta perché pur essendo un volontario deve pagare per mangiare, lei vorrebbe provarci con chiunque ma è troppo cesso. La cosa strana è che la bellezza del luogo non mi sconvolge, e penso neanche il Petroz. L'Oceano fa un rumore bestiale.

Costarica - La Leona

23 gennaio h 4.15 p.m.
Com'è dura l'avventura. Sveglia alle 4, partenza alle 4.45 a.m. destinazione Sirena, carichi e tutto con 4 litri di acqua. Partenza alla luce della luna e delle stelle, felici e baldanzosi. Spiaggia, rocce, foresta, spiaggia, foresta, promontorio, immancabile acquazzone tropicale, spiaggia, foresta, spiaggia, guado, spiaggia, foresta, stazione di Sirena, dopo 8 ore esatte. Il guardiano dei cessi ci ha fatto pagare anche per La Leona. Abbiamo l'esatta misura ci cosa serve il permesso. Sembra che ci siano molti più animali qui. Siamo un po' finiti. Schiena e piedi sono a pezzi. Non so come si farà domani fino a Los Patos. Fino ad ora anche con il cibo si va male. Chissà come ritornerò. Dopo La Leona non mi sento contento qua.

Costarica - La Leona

Caro Nicola,
a distanza di alcuni mesi ho ripreso in mano il piccolo quadernetto che custodivo nella borsa della macchina fotografica. Allora incuriosito ho sbirciato all’interno ed ho trovato un piccolo scritto di uno dei giorni della Nostra quasi irreale avventura. Allora ho pensato perché non mandarglielo al Bertoz. Sai per me quella vacanza è stata davvero particolare e solo adesso come ti dicevo l’altro giorno ne sto assaporando con gusto tutte le sensazioni, i profumi, le emozioni forti che abbiamo condiviso. Ah! Ho sempre pensato che le cose vanno dette senza dimenticarsi magari di fare dei complimenti alle persone a cui teniamo. Quindi ti volevo dire che sei stato un ottimo compagno di viaggio e davvero mi sono trovato molto bene in tua compagnia soprattutto penso per il rispetto che credo entrambi abbiamo dimostrato nei confronti dell’altro.

23 Gennaio 2003
“Finalmente trovo il tempo per scrivere le emozionanti avventure di questo viaggio entusiasmante. Sono le 17 e mi trovo forse in una delle riserve naturalistiche più sperdute e remote del globo.
Nicola ed io siamo arrivati praticamente distrutti alle 12 e 45 dopo una camminata di 8 ore. Abbiamo attraversato da soli la giungla, costeggiato il tumultuoso Oceano Pacifico, guadato un fiume densamente popolato da caimani e tiburones e finalmente siamo giunti alla Sirena del Corcovado costeggiando una pista d’atterraggio. Forse adesso non è il momento ideale per descrivere con dovizia di particolari questa incredibile avventura perché ho la schiena dolorante ed il pisello raggrinzito. Sono sicuro però che questi giorni li ricorderò per lungo tempo.
Che emozione ragazzi fare il bagno accompagnati dalle maestose onde di questo Oceano che offre davvero dei paesaggi, albe e tramonti quasi irreali. Vegetazione simpatica, animali che sbucano da ogni angolo, rumori non familiari ma amichevoli. Profumi da percepire. Natura amica e sovrana. E’ lei che regola il tempo. Siamo fortemente condizionati dal suo divenire e manifestarsi tant’è che ceniamo alle 18 e poi a letto presto per potersi svegliare la mattina alla ricerca di animali e sensazioni a noi ignote.
Avventura avventurosa!
Incredibilmente bello!
Spero di cuore che anche per il Bertoz sia così!”.


25 gennaio h 5.00 p.m. Ho la febbre. Strano essere in un posto così caldo, vedere le palme e sentirsi indolenti. Ieri sveglia alle 5.30 partenza alle 6.20 a.m. e arrivo a Los Patos alle 13.10 dopo 20km di giungla pura, e l'incontro con una tarantola al rio Sirena (?). Los Patos ci è piaciuto molto, uno bello spiazzo verde e soprattutto un'atmosfera piacevole, divertente, rilassata. Un po' a malincuore siamo partiti con due tedeschi e un gringo, destinazione Guadalupa, altri 8km, 37 guadi. Siamo arrivati con le prime luci della sera, siamo saltati sul camioncino di un locale e giù a La Palma, appena in tempo per prendere il bus per Puerto Jimenez. I tedeschi sono molto simpatici, anche loro sono tree climber. Ieri sera poi pizza da Antonio con i tedeschi e stanotte sono stato male, febbre poi Zerinol, tentativo di colazione, febbre, Zerinol, Aulin, sto così così, un po' preoccupato ma non dovrebbe essere niente di grave. Dimenticavo della gita da La Leona a Sirena le orme del giaguaro, i coccodrilli al guado, Fabio, il marinaio italiano con le infradito con molto grip.


27 gennaio h 8.37 a.m.
Ieri ho cominciato con gli antibiotici, l'Amoxicillina e mi è passata la febbre. In compenso continuo a pisciare dal culo ed è una strana esperienza. Anche l'odore delle score è nauseabondo. Il Petroz pure è stato male, più o meno nello stesso modo. Finché restiamo in queste condizioni non ci sentiamo di spostarci da Puerto Jimenenez. Ieri ho sognato di essere un Amorfo Blu e di volare tra mare e cielo. Non riesco a connettermi a Libero e ho cominciato a usare la posta del DEI. Speriamo che almeno quella funzioni. L'umore non è male. Siamo riusciti a farci quattro risate e a raccontarci la storia della nostra vita.

Costarica - Puerto Jimenez


Raramente mi sono tirato indietro dalla sfida con l’Ignoto. E’ una di quelle cose che esercitano su di me un fascino irresistibile, come una bella ragazza, una battaglia a palle di neve, una partita di calcio (giocato), un giro in moto sui colli, la crostata di ricotta quando è fatta bene, come a Lignano.
Mentre l’autobus scendeva giù verso Puerto Jimenez e si addentrava sempre più in luoghi remoti e selvaggi avevo la percezione di ciò cui andavamo incontro, ma la tenevo distante, come fosse una distrazione pericolosa. Anche ora intuisco soltanto la dimensione di quello che abbiamo affrontato e mi ritrovo incapace di raccontarlo.
Non avrei mai immaginato un posto come La Leona, semplice e meraviglioso, con quelle due baracche al limitare della giungla e l’Oceano, caldo e potente, e la sua voce grossa che sovrasta ogni altro rumore, e un cielo così sfavillante di stelle da rendermi incapace di riconoscere le costellazioni note. Non avrei mai immaginato l’incontro con l’Amorfo Blu, questa farfalla dalle ali blu cobalto, così rara e preziosa da diventare uno dei simboli del paese. Non avrei mai immaginato di trovarmi tremante e privo di forze lungo la strada per la stazione di Sirena, né di sfuggire per un soffio ad un tete a tete con una pelosa tarantola, né di decidere la direzione ad un bivio nel folto della giungla solo con l’ausilio di una bussola. Non avrei mai immaginato il brivido di rendermi conto che, viaggiando in condizioni limite al limite delle forze, se ci fosse successo qualcosa, anche di molto banale, come una storta o l’incontro con qualche animale, sarebbe stato molto molto complicato venirne fuori. Dobbiamo ringraziare la nostra buona stella che la febbre e la diarrea ci hanno colpito solo qualche ora dopo il nostro ritorno (fortunoso) a Puerto Jimenez. Eppure è successo, ed è stato terribile e fantastico, come ogni grande Avventura che si rispetti. Per una settimana della nostra vita abbiamo zompettato incoscienti intorno alla vaga linea di confine che esiste tra paradiso e inferno, dall’altra parte dei concetti.
Fantastico ma un po’ troppo terribile per riprovarci. Passi per la fatica bestiale di attraversare spiaggia, rocce e giungla con il nostro zaino ipertrofico sulle spalle e il caldo tropicale sui polmoni e sulla pelle. Passi per la concentrazione costante necessaria per evitare ragni e serpenti nella giungla e squali e caimani ai guadi. Passi per il cibo e l’acqua largamente insufficienti. Questo ci sta. Ma i cinque giorni a febbre anche alta e diarrea non sono stati un granché come esperienza, specie sapendo che quando è tosta (e quella lo era) si può anche morire per disidratazione. Quando siamo ripartiti da Puerto Jimenez io avevo perso 6-7 kg e Simo una decina. Ci voleva un break.


29 gennaio h 11.14 a.m.
Siamo sbarcati ieri sull'altra costa del Costa Rica, dopo 13 ore di autobus, a Puerto Limon, un paese che sembra il parente (molto povero) della Giamaica. Stiamo per partire per Puerto Viejo, alla caccia di Jennifer, la tedesca. E lì dovremmo ritrovare anche Fabio, il marinaio italiano che ci ha invitato in barca da lui, anche la Barcolana. Ieri abbiamo conosciuto, anzi mi ha abbordato una francese di origine marocchina che vive a Londra ed è agli ultimi quattro giorni di un viaggio che dura da un anno, con un biglietto aereo che con due milioni e due fai sette viaggi per ogni dove e parla 7-8 lingue, correntemente almeno francese, spagnolo, inglese, arabo e un po' di italiano, ha studiato commercio internazionale e s'interessa delle politiche del mondo. Dice che a Londra si può fare carriera in fretta.
Abbiamo attraversato le piantagioni di banane, nel coast-to-coast, Del Monte, Chiquita, Dole, una attaccata all'altra; è cambiata vegetazione, musica, facce della gente, qua ci sono molti più neri, più caraibi. Spero però che dove andiamo sia meglio, e non così caro come ci dicono, dovrebbe essere paese di surfisti, e di barriera corallina. Suad, intanto, ci fa fare quello che vuole. Ha scelto l'Hotel, gli abbiamo offerto la cena, ci ha portato al mercato stamattina e ora ci sta facendo aspettare per partire. Non ho detto forse del nuovo inceppamento della macchina fotografica, che ho relegato in fondo allo zaino. Bea merda. Stiamo un po' meglio. Stamattina cagata regolare e venti di solidarietà dall'Italia. Qua le donne fanno proprio cagare.

h 2.37 p.m. Puerto Viejo. Un pugno di baracche meno squallide del solito, palme a profusione a un passo dal mare. Con tutti 'sti negri fa molto Africa. Suad mi ricorda un po' la Laura Abbascià. Mi sorprendo di come mi sono adattato ai viaggi in bus, ormai non li sento più, dormo, se il paesaggio o la gente non è abbastanza interessante. In qualche modo preferivo il Pacifico, mi dava una maggiore idea di purezza. Qui sarà l'odore, gli insetti, l'umidità un po' più opprimente... però lo preferisco rispetto a Puerto Jimenez (anche se non rispetto a La Leona), mi sembra più intimo, più tranquillo, meno squallido, anche se vari Bob Marley strascicano i piedi con aria vagamente sinistra. L'odore è quello "da freschin", in effetti sono proprio a 12-13 metri dal mare e ogni tanto il pancino da segnali di turbolenza. Nessuno fa il bagno, almeno qui. Perché? Ho appena intravisto due persone. Eppure il tempo è perfetto, appena qualche nuvoletta che smorza il duro sole tropicale. Vedo se qui riuscirò a sistemare lo zaino, a prendere un po' di sole deciso e a recuperare qualche chilo. In teoria dovremmo avere una cucina. Il Petroz è andata a caccia di cabine con Suad. Lei vuole solo risparmiare, il Petroz dipende dai giorni. E' mezz'ora che sono via. Mangio.

h 16.30
Hotel Dolce Vita, cabina da tre, fine degli italiani fessacchiotti. Non ci crederà nessuno, tranne che il Martin, che sa come vanno queste cose.


30 gennaio h 8.45 p.m.
Ci siamo trasferiti, noi tre, in un baracca per conto nostro, con due letti a castello, uno semi-matrimoniale, cucina e bagno. Siamo scesi molto di livello rispetto a ieri, diciamo che siamo rientrati nella normalità. Però oggi ci siamo cucinati una pasta, fatto il sughetto con i pomodori, ed è forse il primo giorno in Costa Rica in cui abbiamo mangiato una quantità di cibo normale. Oggi siano andati alla spiaggia dei surfisti, e ci siamo fatti pettinare per benino dalle onde, anche piuttosto pericolosamente. Ho bevuto parecchia acqua di mare. Abbiamo apprezzato i Tacos (e fish) messicano e le Empanadas Argentinas. Piccolo paradiso questo. Ah! Abbiamo chiamato il numero che ci aveva dato Jennifer e una tipa ci ha detto che è ritornata a San Josè con il suo amico Cristian. Petroz si è deciso a chiamarla dopo molte indecisioni e le solite cazzate sul destino. Qui sembriamo una famigliola felice, ma nessuno tromberà, sono convinto sempre di più che assomigli alla Laura Abbascià. Sto ripassando il Francese. E che discorsoni. Anche Spagnolo, Inglese, Italiano...


1 febbraio h 7.15 p.m. Siamo andati a Cahuita, al parco che c'è lì con le francesi. Siamo in quattro adesso anche con Sandina, ma è meglio dimenticare. Subito un Bradipo Peressoso, che si fa toccare e si muoveva lentissimo su un alberello. Poi il parco, con specie di paludi rosse e radici che sembravano zampe di ragno, due branchi di scimmie cappuccino che hanno ciullato mezza banana a Sandina, il falco, la scimmia ragno, le formiche de fuego, gli avvoltoi, il ritorno a casa in autostop. Faccio un appunto su Puerto Jimenez, l'americano che ci ha portato a vedere i caimani che quando lanciava i pezzi di carne scoreggiava.
Ieri sera a giocare a domino (dopo una giornata in bici con lucchetto perso fino alle bellissime e tranquillissime spiagge di Manzanillo) come i negroni locali e con Remì-Totò, che sta organizzando un progetto di tutela ambientale, una farm agricola vicino al Chirripò. Abbiamo imparato la ricetta dei Guacamoles (4 avocado, 1 pomodoro, mezza cipolla, limone e sale) e andiamo pazzi per i Tacos e fish. Domani dovremmo partire per il Tortuguero.



Abbiamo tagliato il paese in due, attraversando foreste, montagne, altopiani, piantagioni di banane, in un coast-to-coast con il timore latente di un altro attacco fulminante. Siamo sbarcati sulla costa caraibica a Puerto Limon, la città più grossa di questa parte del paese, ed è anche un porto, e come tutti i porti è una zona un cincinin più pericolosa delle altre.
Pochi minuti dopo essere scesi dal bus, mi si avvicina una ragazza e mi chiede se possiamo cercare una stanza dove dormire insieme per dividere le spese. E’ stato un avvenimento che mi ha destabilizzato, perché la ragazza era piacevole. Ho passato le ore successive a chiedermi se per caso non stavo uscendo dalla mia dimensione per fare un giro nella dimensione di “quello che capita agli altri” o la dimensione dei film, che è un po’ la stessa cosa. Nei giorni successivi ho invece capito che si era trattato di una scelta consapevole mirata, di una ragazza in gamba che, abituata a doversi arrangiare e ad affidarsi agli altri nelle situazioni più disparate, ha sviluppato come i migliori venditori la facoltà di comprendere il genere di persona che si ha di fronte da poche occhiate. Nel mio caso gli è bastato un attimo per capire chi ero o, almeno, chi non ero. Pensare che altre persone restino mesi o anche anni con un atteggiamento diffidente nei miei confronti, lascia inevitabilmente una scia di emozioni negative. Ma ognuno ha le sue storie, i suoi motivi, i fantasmi con cui convivere, non c’è nulla da fare.



“In ogni grido d’ogni uomo
in ogni strillo di bambino,
in ogni voce, in ogni bando
odo i ceppi forgiati dalla mente.”
William Blake



Abbiamo convissuto discretamente affiatati per quasi una settimana e un paio di giorni pure con la sua amica Sardina che, oltre ad essere terribilmente schiva (Deo gratias) e un emerito cesso, possedeva anche una formidabile arma di difesa contro i malintenzionati (?), puzzava come formaggio di capra rancido e ormai in decomposizione. Ricordo ancora con angoscia una volta che per andare dalla cucina la bagno dovetti passarle accanto e fui sul punto di svenire. No, non era la dimensione dei film quella…

E’ stato in quei giorni di sano recupero che ho avvertito il desiderio di condividere con altro oltre che con il Petroz la bellezza che mi stava intorno, le onde giganti della barriera corallina, tramonti da baie incantate, l’incontro con il branco di scimmie, gli squisitissimi tacos e fish del cuoco argentino…


2 febbraio h 11.45 a.m.
Stazione degli autobus di Limon. Ieri sera scorpacciata di Tacos e Fish, gran cenetta, con acquisto di collanina da italiana in crisi che ha girato il mondo e ora ha il marito in depressione. Dimenticavo i coralli tirati su al parco da distribuire al popolo. Notizie su un razzo, un aereo, Bin Laden. Preferisco non sapere niente. Dovremmo stare per lasciare definitavamente Suad e questa zona del Costa Rica.


Thank you for enlightening my last few days of this trip with the warmth of your "sunshining" smile.
Ci vediamo.
Suad


h 7.56 p.m.
Hotel El Tropico, stanza 105, Cariari. Abbiamo tentato di arrivare al Tortuguero ma non ce l'abbiamo fatta, per colpa di un tassista un po' troppo furbo e di un bote un po' troppo veloce. Comunque siamo giunti per strade sterrate fino a Casas Verdes, un villaggio di raccoglitori di banane sul Rio Suerte, dove si prende il bananero. Sembra che siamo arrivati troppo tardi. Così in cerca di un telefono per contattare il bananero o l'ufficio, ma quello pubblico è guasto, allora cerca un amico con il cellulare e via con le chiamate, casini, non capisco un cazzo, litigio con il tassista, ritorno a Cariari, dato che la permanenza lì sembra pericolosa. Alla fine chiede anche il ritorno ma il Petroz gli da meno di quello che ha pattuito all'andata, 12$. Lui va a parlare con il tipo delle cabine dove c'ha portato, noi cambiamo aria e veniamo qui. Speriamo non ci siano ripercussioni.



Lasciando Puerto Viejo ci siamo anche separati da Souad, noi lanciati verso il Tortuguero, lei verso San José e por Parigi. Raggiungere il Tortuguero non è semplice, nonostante la Lonely Planet e un discreto flusso turistico. Ci sono solo due possibilità: o imbarcarsi a Puerto Limon (che sarebbe stato più semplice e più costoso) oppure attraversare le piantagioni di banane e farsi dare un passaggio dal bananero, una barca a motore che viene utilizzata per trasportare le banane. La zona delle piantagioni è discretamente malfamata, a causa della forte immigrazione nicaraguense, che viene combattuta duramente in ogni zona del paese tranne questa, dove sono le multinazionali a dettare legge. Le strade sono per lo più sterrate e ai confini delle piantagioni posti di blocco della polizia privata fanno in modo che ogni persona compia un percorso di disinfezione, per evitare che agenti patogeni attacchino le piantagioni. Proprio qualche giorno fa ho sentito parlare di una violentissima epidemia scoppiata in tutto il sud America, e i più pessimisti parlano di rischio di estinzione della specie delle banane, almeno in America.
E’ successo questo.
Siamo arrivati a Cariari, l’ultimo paese prima delle piantagioni, che era ormai metà pomeriggio, e l’ultimo bus per l’imbarco del bananero era già partito. Impazienti di arrivare, ci siamo fatti convincere da un tassista di poter raggiungere il bananero delle 17, e il Petroz si era accordato che l’avremmo pagato solo se avessimo preso la barca. Non sapremo mai veramente se quel bananero sia passato o no. Noi alle 17 in punto eravamo all’imbarco, ma non c’era nessuno. Mentre il Petroz restava al molo pronto a bloccare la barca nel caso fosse passato in ritardo, il tassista mi portava un po’ più indietro, alle Casas Verdes, una lunga serie di prefabbricati dove vive chi lavora alle piantagioni. Il telefono pubblico era rotto, così il tassista ha cercato un suo amico (?) in zona e si è fatto prestare il cellulare. Così abbiamo chiamato il capitano del bananero, il quale sosteneva che la barca era già passata e ci proponeva una corsa speciale a un prezzo altrettanto speciale. Con il senno di poi ci sarebbe convenuto accettare, forse, ma la situazione sembrava un po’ troppo losca e pensavamo di passare la notte nella zona del molo. Solo che gli sguardi della gente del luogo, le parole oscure del tassista, non promettevano nulla di buono. Mentre tornavamo indietro a Cariari attraverso le piantagioni e nuvole di polvere, esausti per la giornata e il viaggio (arrivavamo da Puerto Viejo, quasi dall’altra parte del paese), si poneva il problema di regolare i conti con il tassista. Secondo gli accordi non avremmo dovuto lasciargli niente, dato che la barca non si era vista, ma era impensabile dato che ci aveva portato a spasso per tutto il pomeriggio.
Con il buio Cariari aveva un’aria più brutta e soprattutto più sinistra di come l’avevamo lasciata il pomeriggio. Di fronte a una stamberga si consumava la trattativa con il tassista. Quello chiedeva l’andata, il ritorno e la telefonata, il Petroz pagava solo l’andata e il tassista invece di trattare parlava furiosamente con il titolare della pensione e se ne andava in una nuvola di minacce. Immediatamente ci siamo levati da lì, tentando in qualche modo di far perdere le nostre tracce, cosa piuttosto improbabile, aggirandoci con i nostri zaini ipertrofici in quel piccolo e squallido paese. Quasi ad ogni angolo buio qualcuno cercava di abbordarci per romperci le palle. Nel nostro immaginario si solidificava la paura che il tassista ci venisse a trovare con un gruppo di amici robusti per farci la festa o peggio ancora. Solo all’interno dell’albergo abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Alla reception poi c’era una biondina carina che avrei passato la notte lì. La mattina è comunque arrivata senza particolari paturnie. A cosa sarebbe servito ? Mentre poi andavamo verso la stazione dei bus e ci arrischiavamo quasi a pensare di poterla fare franca (sarebbero bastati ancora pochi minuti), eccoci incrociare il tassista e la polizia che ci davano la caccia. Abbiamo rifiutato il passaggio alla centrale (si raccontano molto brutte storie a riguardo) e intavolato una nuova feroce trattativa. Ma gli uomini in divisa ruminavano a braccia incrociate il solito ritornello, e dopo un po’ abbiamo capito che c’era poco da fare, così abbiamo gettato al tassista i suoi cazzo di 11$ (guarda per che cifre rischiamo di finire nei guai) e ce ne siamo andati.
Discutendo poi del fatto con la bigliettaia del bus, questa ci assicura che non esistono corse del bananero alle 17, cosa che fa infuriare il Petroz come un toro a cui abbiano appena strizzato i maroni, per cui mi lascia la roba e torna alla centrale. Non so bene cosa sia successo là dentro, ma quel che è sicuro è che i soldi non ce li hanno più dati indietro e il bus l’abbiamo preso all’ultimo secondo. Il capitano del bananero poi, per venirci incontro dopo tutte le nostre peripezie, ci ha fatto un prezzo speciale, talmente speciale da essere uguale a quello normale.


3 febbraio h 3.20 p.m. Cabinas Tortuguero, al Tortuguero. Ieri dopo una cena a base di dolci, data la scarsa affidabilità di Cariari, con la varia gentaglia e la prima puttana che ci ha avvicinato, abbiamo dormito. Stamattina mentre andavamo alla stazione degli autobus per strada abbiamo incontrato il tassista con la polizia. Discussioni infinite, scaricabarile, infine parte l'autobus e paga altri 11$. Per il bus abbiamo conosciuto una coppia svizzero-italiana. Lui, fisico, lavora alla IBM a Zurigo e ha decantato le qualità di Linix-Unix, sostenendo che un esperto Unix trova lavoro ovunque. Poi Bananero, il quale non ha voluto sentire ragioni, e giù altri 20$. Però il viaggio in bananero ci è piaciuto e anche il Tortuguero non è male, o almeno sembra. Solo che stiamo lasciando giù una cifra. 25$ e un pranzetto gamberoni, pizza, insalata di frutas e frescos. Buonissimi, però. Forse intanto è saltata la gita in canoa. Ste cabine sono gestite da un italiana, e il fascino inconsapevole del Petroz agisce.


4 febbraio 1.30 p.m. Cabinas Tortugero #3, amaca. Relax dopo giro in canoa con Boni (15$ a kranio) nel parco con visione di vari animali, tra cui un culebra giallo velenoso, una rana roha velenosa, un piccolo coccodrillo, un martin pescatore che pesca, uccelli, scimmie. Mi sto un po' abituando a queste visioni. Colazione alla Casona, come ieri, dove cucina un nicaraguense veramente bravo, anche se un po' caro, ma giustamente (e se lo dico io...). Ieri sera cena da Morena e Boni, pasta dolce ma buona e chiacchierata politica sociale e internazionale. Sul Vaticano, inutilmente Boerdin contro tutti. Ieri pomeriggio Morena ci ha anche proposto di prendere gratis in gestione il ristorante, ma non c'ho pensato seriamente nemmeno per un momento, anche se ha qualcosa di affascinante la proposta. Qui è troppo piccolo per me, ho in mente Londra, Unix, un pacco di avventure, il Brasile, il Canada, l'Africa. Con la colazione abbiamo anche fatto la conoscenza di Fernando, detto Kaki, un balordo che fa un po' di tutto per 12$ al giorno in un lodge qua vicino, che per una specie di giro turistico del pueblo ci ha chiesto una birra. Il tipo di Morena è davvero un bel tipo, ha un sorriso, delle espressioni del viso che ti mettono veramente allegria. Qui il posto è carino, mediamente curato, tranquillo, tra fiume e mare, e abbiamo anche trovato bel tempo, dopo che ha piovuto per una settimana intera. Anche dalla cena di ieri è venuto fuori un quadro politico di corruzione, di giustizia difficile, di forte immigrazione nicaraguense, di droga anche qui, di pochissima voglia di lavorare, di padri che violentano le figlie, di una bambina di 9 anni che è rimasta in cinta e l'arcivescovo sta decidendo se può abortire o no.



Il giro in bananero è stato piacevole e ci ha fornito anche qualche insegnamento sulle stile di guida. Il fiume presenta ostacoli di ogni sorta, tronchi, secche, massi, e non rovesciarsi è abbastanza importante, dato che se devo incrociare un simpatico caimano, preferisco farlo sopra una barca piuttosto che nell’acqua. La tecnica era tutto sommato semplice. Quando incontravamo un ostacolo prima il conducente vi puntava contro in modo da prendere bene le misure e poi cambiava direzione. Niente facile. Chissà se funziona anche nella vita.
La nostra permanenza al Tortuguero è stata breve, ma non senza importanza.
Uno, per la particolarità del luogo, questa laguna folta di vegetazione dove le tartarughe in maggio vengono a deporre le uova, molto affascinante.
Due, per come abbiamo mangiato alla “Casona”. In un paese privo di tradizione culinaria come la Costa Rica, trovare un angolo di delizie come quello ci è sembrato qualcosa di “magico”. Io e Petroz ci siamo letteralmente ingolfati mangiando per quattro e fors’anche per sei, lasciando allibiti la maggior parte degli altri avventori.
Tre, per la proposta di Morena di aprire un ristorante e restare là. Morena in Italia faceva la cassiera in un supermercato e aveva la psoriasi. Veniva da un lontano passato di parrocchia e da uno più recente di sinistroide militante, in cui aveva partecipato a più battaglie per i diritti umani, era stata in Nicaragua negli anni più difficili a denunciare la politica criminale degli States. In Italia faceva una vita piuttosto alienante e nessuna cura e nessun dottore erano riusciti a liberarla dalla malattia. Dopo 20 giorni di lavoro in Costa Rica la psoriasi era scomparsa da sé, per mai più ritornare. Aveva sedotto un bel tipo del luogo e si era messa in affari. Ci lanciava la sua proposta. In fondo non eravamo andati lì anche per quello, per valutare la possibilità di vivere in un altro modo e in un altro luogo ? Più rilassato, più a misura d’uomo, più semplice, a contatto con la natura ?
Quattro, per come abbiamo sventolato il permesso a destra e a manca, facendoci portare in giro di qua e di là e promettendo di informare il Ministero del loro buon operato e della loro gradita collaborazione. Forse, se avessimo avuto tempo e voglia, lo avremmo anche fatto.


Costarica - Zona del Guanacaste

7 febbraio h 6.44 a.m.
Comedor del Parco Santa Rosa. Siamo andati via dal Tortuguero il 5 mattina, dopo una gita sul Cerro da 10$ e cena alla Casona con Cristophe e Gabriella, Boni e Morena, ancora su politica, scienza e via dicendo. Dopo 11 ore di viaggio siamo giunti a Liberia, abbiamo alloggiato all'Hotel Guanacaste e con la scusa del permesso il Petroz è riuscito a farci pagare 20$ al posto di 30$ per un posto cessoso al #9. Abbiamo cenato alla pizzeria El Beppe, cara e italiana, Beppe è un romanaccio sbregato. Liberia è forse la città più bella del Costa Rica, dignitosa, verde, tranquilla, sicura. La mattina del 6 ho cambiato i Travel al Banco Nacional in 45 minuti buoni, poi alla stazione dei bus un tizio per 6000 colones ci ha portato all'ufficio del Parco, a 7km dall'ingresso sull'InterAmericana. Qui ci siamo spacciati per i naturalisti con Roger Blanco, Juan Carlos Carrillo e la gentaglia qui, Petroz ha rotto i coglioni all'inverosimile per farsi portare in giro, e il pomeriggio ci hanno intrattenuto 2 ore sull'unica battaglia della storia del Costa Rica, 20 minuti, in 1000 contro i 400 di William Walker. Poi Juan Carlos ci ha fatto fare un giretto spiegandoci un po' di robe. Dato che non siamo riusciti a ottenere di più, e non abbiamo i maroni di farci a piedi i 12km fino alla spiaggia dovremmo andarcene per Montezuma. Siamo nell'unica foresta tropicale secca del Costa Rica, fa molto caldo e c'è molto vento, qui il verde ha lasciato il posto ad altri colori, il giallo, l'ocra, il marrone. La foresta non è primaria, perché è Parco dal 1971 e prima c'era molto disboscamento, abbiamo visto un cerbiattino, iguane, una specie di puzzola, una scimmia ferita, vari uccelli colorati. Ci hanno sistemato nella stanza 61 in un edificio ai margini della foresta, pareva non ci fosse posto, ed eravamo i soli, forse il momento in cui siamo stati più soli con gli animali.

h 6.44 p.m. Cabinas Mar y Cielo #1, Montezuma.
Ponato sotto il portico davanti la cabina, a 15 metri dall'oceano, separati da lui solo da qualche palma, ci rilassiamo. Stamattina Juan Carlos ci ha portato all'ingresso del Parco. Non abbiamo pagato la stanza perché ospiti del Ministero, ci ha salutato Marta Maria nel suo vestitino rosa che gli avremmo dato volentieri una megatrombata spaziale. Dopo 45 minuti di inutile attesa del bus ho cominciato a fare l'autostop e dopo altrettanti 45 minuti si è fermata una carretta, probabilmente anche per la contemporanea presenza di due tipe del parco. Dietro tra le arance fino a Liberia. Bus stillicidio, con fermate ogni pisciata di cane e 4 controlli della polizia, 3 ore e mezzo fino a Puntarena, taxi al porto, traghetto al volo, Bus fino a Montezuma, pensioni tutte occupate tranne questa. Docciati e ora in mutande sotto il portico, con tipo con due tipe appena passato. Il Petroz assapora già il gusto di una pizza. Tanto per cambiare.


9 febbraio h 8.13 a.m.
Il riposo degli eroi. Continuiamo a rilassarci. D'altra parte, non c'è molto altro da fare. Unico luogo veramente festaiolo del Costa Rica e anche molto turistico. La musica va avanti fino alle 2, internet è carissimo, le cartoline no. Abbiamo incontrato Fabio, i due tedeschi del Corcovado (Peter e coso) e la Pamela dell'Arenal, che ha cambiato tipo, ora sta con un moro di Boston. Abbiamo mangiato molto bene, italiano e un po' caro, ieri scamorza affumicato con aragosta in un locale strafigo, luci soffuse, in riva al mare, su un tavolo di cinecero, sotto una capanna di palme... non si può descrivere, troppo bello.


10 febbraio h 9.30 a.m.
Continua il cazzeggio totale. Ieri sveglia tardi, saluti con i tedeschi, colazione con calma, cartoline, chiacchierata con Fabio sui luoghi del mondo, sogni e progetti di viaggi, riposino, panino, riposino, bagno al tramonto, cena con Fabio, scrutamento fauna, birra in discoteca con polipo USA e qualche figa. Pare che necessariamente si debba andare in Brasile per vedere posti, luoghi, persone, fighe. E la Tunisia in moto, e il giro del Meditteraneo, la Sardegna, la Corsica. Comincio un po' a detestare la superficialità che respiro in questi luoghi, l'odore del denaro, dell'interesse, del vendersi, forse anche un po' d'invidia per non sapersi mettere in gioco in un certo modo. Però questa è roba vecchia. Mi infastidisce molto il lato oscuro della semplicità, che sconfina nell'ignoranza, nella grettezza e percepisco come l'essenzialità priva del buon gusto sia squallida, e questo è un punto su cui voglio riflettere bene, perché sospetto sia la strada del senso della vita, un'essenzialità armoniosa, pulita, densa di significato.


11 febbraio h 8.57 a.m.
Ultimo giorno di relax. Domani si parte per San Josè, si fanno spese, si completano le cartoline. Ieri solito cazzeggio, con assaggio di crepes, non male. Sulle 4 siamo andati a fare un giro sulla spiaggia fino a un certo punto sugli scogli e abbiamo osservato smodate quantità di granchi, conchiglie, ricci, molluschi vari, che nel Caribe non c'erano. In definitiva, sentiamo di dire che il Pacifico è meglio, per il clima più secco, l'acqua più calda, le spiagge più grandi e sabbiose. Siamo ritornati alla zona dove si può fare il bagno, avendo incrociato anche qualche figa, e abbiamo giocato a farci trasportare dalla cresta dell'onda. Qualche volta è andata ed è stato piacevole, qualche volta abbiamo bevuto. Così fino ben oltre il tramonto. Poi ci siamo distesi a parlare sulla spiaggia e la luce della luna e delle stelle rischiarava bene la spiaggia. Si è parlato di rotte tra le stelle e segni del cielo, di destino e di scelte di vita, senza scoprire nulla, semplicemente acquisendo consapevolezza che il destino è nelle nostre mani, e che c'è una risposta. Perlomeno, "sentiamo" che c'è.



Qui in Costa Rica c’è di bello che l’integrazione è quasi perfetta, bianchi, neri, orientali, indigeni, rasta, giovani e vecchi convivono in armonia, giocano insieme a domino, ridono allo stesso tavolo. Forse le nuove generazioni si stanno facendo contaminare dallo spirito consumistico – occidentale. Fumano e bevono più dei genitori, forse più di loro cercano facili guadagni. E ascoltano musica internazionale. In uno degli infiniti viaggi in bus ho visto un costaricano e un canadese discutere per un’ora di musica davanti a dei cd, ognuno nella sua lingua, e capirsi, e non si erano mai visti prima, e non sembravano avere nulla in comune. Ho pensato al “Grande Boh”, a Jovanotti nel suo viaggio in Africa, quando fa amicizia in paesini sperduti senza conoscere la lingua, ma suonando la batteria. Potenza della musica.
E i bambini. Qui ce ne sono veramente tanti, dato che i goldoni sono scarsamente conosciuti e ancora meno apprezzati dal macho costaricano. L’uomo non è particolarmente preoccupato di lasciare in stato interessante una ragazza. La famiglia è sentita in modo molto diverso dall’Italia, una gravidanza non programmata è avvertita come un fatto scomodo ma naturale, come cambiare lavoro o mettersi gli occhiali, non una tragedia infinita. Qualcosa che capita, e in genere abbastanza presto, entro i vent’anni. Qualche volta gli uomini le sposano, qualche volta no. D’altra parte ci sono molte donne pronte a buttarsi tra le braccia e ad incastrare l’uomo danaroso.
In giro si trovano diversi predicatori folli che gridano e sbraitano che “Jesus es el senor”. La maggior parte della gente li tratta come se fossero elementi del paesaggio, ma qualcuno applaude, gli stringe la mano, fa un offerta e loro sono sempre contenti. Comunque nei nostri luuunghi e numerosi viaggi in bus abbiamo incrociato decine di volti incredibili, di una bellezza, espressività e intensità che non possono non conquistare.

Tornati a Venezia abbiamo ritrovato freddo e ansia, subito mi ha spiacevolmente sorpreso la sensazione di una netta differenza della velocità di scorrimento del tempo. Mi sono chiesto e continuo a chiedermi se esiste un posto nel mondo dove si possa trovare una via di mezzo, un posto dove sia facile viaggiare leggeri, con lo zaino pieno di poche cose importanti. Un posto dove semplicità e intelligenza e cultura (= armonia) si incontrino.

E, di tutti i posti meravigliosi che ho visto, specialmente sulla costa pacifica, devo dire che la bellezza dipende molto dagli occhi che indossi per osservarla.
Accanto alla papera della propria vita (la mia auto – identificazione con Paperino è ormai irreversibile) anche Sozzomarina Beach può diventare il luogo più fantastico del mondo.



13 febbraio h 4.10 p.m. Miami (ora locale)
Il primo volo è andato. Immancabilmente mi hanno perquisito anche a San Josè, mi hanno fatto anche togliere le scarpe. L'ultimo giorno a Montezuma è stato molto bello. Cazzeggio con cartoline fino alle 3, poi passeggiatona fino alla cascata che formava una piscina confinante con l'acqua. Abbiamo attraversato qualche spiaggia bellissima e fatto il bagno nella piscina. Siamo tornati con il tramonto e siamo giunti a casa che era buio, ma c'era la luna piena. Allora abbiamo fatto il bagno nudi e il solito gioco di farsi trasportare dalle onde. Doccia e poi cena al solito ristorante sulla spiaggia, dove ho mangiato la murena all'aceto, e siamo quasi riusciti a uscire con Iana, la chica argentina che serviva al ristorante (Playa de los artistas). Ieri tranquillo ritorno a San Josè, alla pensione La Cuesta del veronese, giro alla Casona a comprare i ricordini. Mentre passavamo in Plaza de la Cultura, ci è giunto l'eco di un divino mastro delle sei corde, che regalava meraviglie di Eric Clapton e altre magie. Per un momento mi è sembrato che le maree di gente che attraversavano San Josè acquistassero un senso, mi sono sentito come l'eletto che scorge la trama di Matrix. I sorrisi, i volti delle persone non erano più misteriosi, comunicavano in pienezza, tutto era chiaro e stavo veramente bene. Poi la musica è finita e l'incanto è svanito. Giri pazzeschi per trovare un ristorante decente, Petroz che chiede alla cameriera di un ristorante dove trovare un buon ristorante e questa che gli risponde e gli da indicazioni. Il fascino inconsapevole del Petroz (che lei credeva Tico). Poi basta. Ultime cartoline lasciate alla pensione e arrivo puntuale in areoporto e Petroz che litiga con il tipo che vuole 17$ di uscita dal paese. Speriamo in un buon viaggio di ritorno, e che il vecchio stia bene, ancora per un po'. Dimenticavo di Luca Monfardini che abbiamo conosciuto durante l'esibizione del mastro suonatore, che ci diceva della bellezza della Colombia, della gente, la musica, i colori, l'isola di Sant'Andrè. Aspettiamo l'Intercontinentale.

Nick


I numeri del viaggio:

3h e mezzo di taxi
4h di camioncino
9h di barca
36h di aereo
63h e mezzo di bus
70 km percorsi nella giungla in 3 giorni
Circa 1500$ tra viaggio e mese in Costa Rica tutto compreso

Tutte le immagini del Costarica

1 commento:

Anonimo ha detto...

ci sei quasi riuscito perfettamente nella descrizione, anche se un mese é poco per capire un'infinitá di cose non cosí apparenti. Mary